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5 gennaio 2012 4 05 /01 /gennaio /2012 10:53

La poesia di Giacomo Leopardi, nonostante i due secoli che ormai separano la nostra epoca da quella in cui è vissuto il poeta, continua ad esercitare un grande fascino tra gli studiosi e gli appassionati di letteratura.

Leopardi infatti può essere considerato uno dei pochi autori che è riuscito a parlare "al cuore dell'uomo", a porre delle domande complesse e sempre attuali sul significato della vita e della presenza dell'uomo nel mondo; non a caso egli è considerato addirittura un anticipatore dell'Esistenzialismo, corrente filosofica che si svilupperà tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento.

Il poeta nacque a Recanati nel giugno del 1798 ed ebbe un'infanzia serena, tuttavia manifestò fin da piccolo una grande predisposizione per gli studi e una grande vivacità intellettuale: il padre, il conte Monaldo, lo asseconda negli studi e gli fa scoprire la ricca biblioteca paterna, che conteneva circa 16.000 volumi.

Durante l'adolescenza il giovane Lepardi inizia ad ampliare enormemente il suo orizzonte culturale, si interessa di astronomia, impara da solo il greco antico e perfino l'ebraico; questo periodo è definito dal poeta come "i sette anni di studio matto e disperatissimo", anni che contribuiranno ad isolare il poeta dall'ambiente in cui viveva, assolutamente inadeguato al suo livello culturale, poichè Recanati era un borgo di provincia, situato tra l'altro in uno degli Stati più retrogradi dell'Italia ottocentesca.

Tale isolamento era aggravato anche dalle precarie condizioni fisiche in cui si trovava il poeta:egli sembra infatti che fosse affetto dal morbo di Pott, una forma di tubercolosi ossea della colonna vertebrale;tale condizione probabilmente contribuì non poco allo sviluppo del pessimismo leopardiano, soprattutto perchè Leopardi iniziò a riflettere sul fatto che la felicità dell'uomo dipende da fattori totalmente indipendenti dalla sua volontà.

La visione dell'esistenza tipica del Leopardi viene espressa non solo nei Canti, ma anche nelle Operette morali (in prosa) e nello Zibaldone, una specie di diario che l'autore iniziò a scrivere già dal 1817 e che continuò per tutta la vita.

Secondo il poeta ogni uomo, per sua natura, ha dentro di sè un fortissimo desiderio di felicità, che è eterno e soprattutto è infinito: di conseguenza tutti i piaceri che la vita offre, essendo limitati, non possono mai veramente soddisfare quell'aspirazione alla felicità che è innata in ognuno di noi. Anche la persona apparentemente più felice in realtà è sempre alla continua ricerca di nuove gratificazioni e quindi ad un'analisi lucida tutte le gioie che sperimenta non sono altro che illusioni, destinate sempre a passare e a lasciare con sè un grande senso di vuoto.

Tale situazione è aggravata dal fatto che la natura non sembra assolutamente preoccuparsi del destino dell'individuo, che è soltanto una misera pedina nell'immenso ingranaggio dell'Universo; per Leopardi le leggi fisiche su cui si basa la realtà non hanno come scopo la felicità dell'individuo, ma soltanto la conservazione del mondo ed è sufficiente un capriccio della natura (un'eruzione vulcanica, un terremoto, ecc.) per far perdere in un batter d'occhio tutto quello che è stato costruito con fatica nei secoli. Da qui deriva la famosissima concezione della natura come una "crudele matrigna", quasi una forza malvagia che agisce contro l'uomo ed è incomprensibile nelle sue dinamiche.

Tuttavia, nonostante questo pessimismo di fondo, il poeta si pone una domanda fondamentale:"E' possibile sperimentare una sensazione che si avvicini alla vera felicità?":la risposta a questo quesito è positiva, infatti per Leopardi ognuno di noi ha una risorsa sorprendente: la forza dell'immaginazione.

Attraverso l'immaginazione ognuno di noi può superare i limiti ristretti della realtà materiale, può andare oltre i confini dello spazio e del tempo e rappresentarsi con la mente un mondo assai più bello di quello in cui è costretto a vivere; il piacere dell'immaginazione, essendo infinito e senza limiti, dà una sensazione di appagamento molto più profonda rispetto a ciò che la realtà può offrirci.

L'ispirazione poetica ed artistica, per Leopardi, non è altro se non un dono dell'immaginazione, che per l'autore risulta particolarmente fervida nei bambini e nei poeti.

Su queste basi si fonda la famosa lirica "L'Infinito" , qui antologizzata.

 

                                                                                      L'infinito

Sempre caro mi fu quest'ermo colle

e questa siepe, che da tanta parte

dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

spazi al di là di quella, e sovrumani

silenzi, e profondissima quiete

io nel pensier mi fingo; ove per poco

il cor non si spaura.E come il vento

odo stormir tra queste piante, io quello

infinito silenzio a questa voce

vo comparando e mi sovvien l'eterno,

e le morte stagioni, e la presente

e viva, e il suon di lei. Così tra questa

immensità s'annega il pensier mio:

e il naufragar m'è dolce in questo mare.

 

Da questa poesia è evidente come l'ispirazione sia causata proprio da un impedimento alla vista: una siepe impedisce al poeta di avere una visuale ampia dell'orizzonte ( versi 2-3).

Tuttavia proprio questo impedimento stimola l'immaginazione, perchè porta ad immaginare un universo infinito dietro l'orizzonte limitato:queste sensazioni provocano un senso di smarrimento e di disorientamento.

In questa lirica si può notare come vengano spesso usati i superlativi (profondissima, sovrumani) per descrivere un'esperienza che le parole fanno fatica ad esprimere: il linguaggio dell'Infinito è per natura vago e indeterminato, perchè non si può definire ciò che non ha confini!

Il poeta, oltre a superare i limiti dello spazio, supera anche quelli del tempo:infatti la voce del vento porta Leopardi ad immergersi nel ricordo delle stagioni passate e a paragonarle con gli istanti del presente.

Il superamento dei limiti della realtà materiale diventa completo nell'ultimo verso: Leopardi sembra ormai immerso in una specie di "universo parallelo" e prova una sensazione indefinibile di gioia.

 

 

 

 

 

 

 

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31 dicembre 2011 6 31 /12 /dicembre /2011 23:09

Auguro un Felice 2011 a tutti gli utenti di questo blog, che l'anno prossimo possa portare gioia, serenità e felicità.

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31 dicembre 2011 6 31 /12 /dicembre /2011 15:52

Nel panorama poetico dell'Ottocento la figura di Charles Baudelaire è molto significativa, proprio perchè rappresenta il punto di passaggio tra il Romanticismo e il Decadentismo.

Per i Romantici di inizio Ottocento la poesia, come qualsiasi altra forma di arte, doveva essere sempre portatrice di un messaggio morale, doveva avere una funzione educativa: l'artista doveva essere al servizio della società e contribuire a migliorarla. Ovviamente il messaggio educativo poteva essere diversissimo a seconda del contesto storico e delle idee dell'autore ( spesso era di tipo politico), ma l'aspetto ideologico non poteva mancare.

Con il Decadentismo le cose cambiano:l'arte viene vista come un'attività umana totalmente indipendente dalla morale, che ha valore in sè;non a caso il motto dei Decadenti francesi recitava:"Noi dobbiamo promuovere l'art pour l'art" (l'arte per l'arte). Per il Decadentismo l'artista era un individuo diverso e superiore dalla maggior parte delle persone ed aveva quasi l'obbligo di evidenziare questa superiorità attraverso uno stile di vita estremamente anticonformista:le regole morali erano espressamente rifiutate, perchè erano viste come l'espressione del dominio sociale della borghesia ipocrita e benpensante.

In base a questa concezione i gesti e le azioni dell'artista dovevano essere diversi ed opposti a quelli della massa conformista e benpensante: i poeti decadenti si distinguevano anche per il modo eccentrico e stravagante di vestire, che inaugura la moda del letterato dandy.

Charles Baudelaire (1821-1867) può essere considerato a ragione come il padre del Decadentismo e soprattutto egli rappresenta il punto di passaggio tra una concezione dell'arte ancora legata alla trasmissione di precisi valori morali e la nuova moda decadente, che promuove l'anticonformismo, il gusto per l'eccesso e per tutto ciò che è trasgressivo, stravagante e bizzarro.

A questo proposito il letterato francese A. Suares ha scritto giustamente: " Il est une façon de sentir avant Baudelaire et une façon de sentir après lui" (Vi è un modo di sentire prima di Baudelaire ed un altro dopo di lui"), ad indicare quindi l'importanza che questo poeta ha avuto nel far cambiare la mentalità degli intellettuali dell'Ottocento.

Charles Baudelaire pubblicò la raccolta poetica "Le fleurs du mal" (I fiori del male) nel 1857 e dovette affrontare una condanna per oltraggio alla morale che gli costò l'eliminazione di alcuni testi; successivamente però la raccolta crebbe moltissimo con la pubblicazione dei Diari del poeta e dei "Petits poemes in prose" (Piccoli poemi in prosa).

La peosia di Baudelaire, come si può del resto facilmente intuire dagli stessi titoli, è molto vicina alla prosa, il verso è libero e privo di rime, l'autore infatti vuole essere anticonformista anche nel modo di scrivere, perchè ritiene che il rispetto delle regole metriche non favorisca l'ispirazione.

Un aspetto importantissimo di tutta la poetica dell'autore è l'idea secondo cui tutta la realtà che ci circonda non è altro se non una "foresta di simboli", che solo il poeta può interpretare:in questo modo Baudelaire anticipa la poesia tipica del simbolismo che ha influenzato la produzione di autori come Apollinaire e, in Italia, soprattutto di Giovanni Pascoli.

Per il simbolismo l'ispirazione poetica crea una corrispondenza tra le emozioni soggettive provate dall'artista e la realtà:di conseguenza gli oggetti che ci circondano diventano il "simbolo" dei sentimenti provati in quel momento.

Il sonetto manifesto dell'intera raccolta "I fiori del male" si intitola appunto "Corrispondances" (Corrispondenze).

Ecco il testo in traduzione.

                                                                   Corrispondenze

E' un tempio la Natura ove viventi

pilastri a volte confuse parole

mandano fiori; la attraversa l'uomo

tra foreste di simboli dagli occhi

familiari. I profumi e i colori

e i suoni si rispondono come echi

lunghi che di lontano si confondono

in unità profonda e tenebrosa,

vasta come la notte e il chiarore.

Esistono profumi freschi come

carni di bimbo, dolci come gli oboi,

e verdi come praterie; e degli altri

corrotti, ricchi e trionfanti, che hanno

l'espansione propria delle infinite

cose, come l'incenso, l'ambra, il muschio,

il benzoino, e cantano dei sensi

e dell'anima i lunghi rapimenti.

 

Ciò che colpisce in questo testo è la visione della Natura come "tempio" e soprattutto l'idea secondo cui l'ispirazione poetica (simboleggiata dai "fiori") sia provocata dall'ascoltare i suoni naturali o nel percepire i profumi; a ben vedere, questo tipo di poetica è presente anche nell'italiano Giovanni Pascoli, perchè anche per lui la natura, in tutte le sue manifestazioni, è una foresta di  simboli che si ricollegano alle emozioni vissute dal poeta.

 

 

 

 

 

 

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29 dicembre 2011 4 29 /12 /dicembre /2011 11:00

Uno dei temi caratteristici della poesia pascoliana, come ampiamente descritto nell'articolo precedente, è la contrapposizione tra la tranquillità del nido familiare e i pericoli rappresentati dal mondo esterno:il mondo degli affetti del poeta è molto chiuso ed impenetrabile dall'esterno.

Una delle poesie che maggiormente rappresenta questa contrapposizione è la lirica "Nebbia", che fa parte della raccolta "Canti di Castelvecchio": il testo venne pubblicato nel 1899 sulla rivista napoletana "Flegrea" e poi confluì nella prima edizione dei Canti.

Come spesso accade nelle poesie di Pascoli, la nebbia non è vista tanto come un fenomeno atmosferico ma piuttosto come elemento di separazione tra il poeta e la realtà.

Ecco la lirica

 

                                                                                        Nebbia

 

Nascondi le cose lontane

tu nebbia impalpabile e scialba

tu funo che ancora rampolli

     su l'alba

da' lampi notturni e da' crolli

     d'aeree frane.

 

Nascondi le cose lontane,

nascondimi quello che è morto!

Ch'io veda soltanto la siepe

      dell'orto

la mura ch'a piene le crepe

      di valeriane.

 

Nascondi le cose lontane:

le cose son ebbre di pianto!

Ch'io veda i due peschi, i due meli.

    soltanto

che danno i soavi lor mieli:

    pel mero mio pane.

 

Nascondi le cose lontane

che vogliono ch'ami e vada!

Ch'io veda là solo quel bianco

    di strada,

che un giorno ho da fare tra stanco

    don don di campane.........

 

Nascondi le cose lontane,

nascondile, involale al volo

del cuore! Ch'io veda il cipresso

     là, solo

qui, solo quest'orto, cui presso

     sonnecchia il mio cane.

 

 

Ciò che appare evidentissimo, in questa poesia, è la continua ripetizione delle stesse parole all'inizio di ogni strofa.Tutte le strofe hanno lo stesso inizio e ripetono il verbo "nascondere", che esprime l'azione principale compiuta dalla nebbia, che è quella di occultare tutto ciò che può essere sgradevole per la serenità del poeta.

La nebbia consente di limitare la visione di Pascoli alle cose familiari e riassicuranti ("I due peschi", "la siepe dell'orto") ed emerge addirittura un desiderio di morte nella quarta strofa: Pascoli vorrebbe quasi che la sua esistenza finisse al più presto, poichè ritiene che il futuro potrà riservargli solo difficoltà e pericoli.

E' evidente però che il mondo esterno, nonostante spaventi il poeta, in un certo senso lo attrae: infatti egli dice che le cose lontane vogliono "ch'ami e vada", quindi Pascoli vive una dolorosa contraddizione tra il desiderio di aprirsi alla vita, di crearsi una famiglia, e la paura costante di fuggire dal ristretto mondo del nido familiare.

Tale contraddizione non venne mai superata e rimase una costante nella vita del poeta.

 

 

Per eventuali approfondimenti sulla poetica e sulle opere del Pascoli, si veda il sito www.fondazionepascoli.it, che contiene una ricca antologia di scritti e di poesie dell'autore.

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27 dicembre 2011 2 27 /12 /dicembre /2011 00:00

Tutta la  poesia di Giovanni Pascoli è stata fin dall'inizio influenzata dalle vicende familiari dell'autore, al punto che l'intera opera può essere letta come una "biografia in versi" .

Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna il 31 Dicembre del 1855, figlio di Caterina Vincenzi Allocatelli e di Ruggero Pascoli, amministratore di una proprietà dei principi Torlonia.

Pascoli trascorse un'infanzia serena, finchè un gravissimo evento luttuoso distrusse la tranquillità familiare:il padre venne ucciso (per motivi mai chiariti) il 10 Agosto del 1867, mentre tornava a casa dal lavoro, nel tragitto da Cesena a San Mauro.

Questo evento fu solo l'inizio di una catena impressionante di disgrazie familiari: l'anno seguente morirono la sorella maggiore Margherita e a distanza di un mese la madre del poeta.

Questi eventi drammatici lasciarono un segno indelebile nella mente e nell'opera letteraria di Pascoli: un simbolo che ricorre quasi ossessivamente in Pascoli è il nido familiare da ricostruire e da difendere da tutti i pericoli e le minacce che provengono dall'esterno.

Infatti il poeta non si sposò mai e rimase sempre profondamente legato alle sorelle Ida e Maria (detta affettuosamente Mariù), verso cui sentiva di avere una responsabilità di tipo paterno, come se volesse proteggerle dalle difficoltà della vita; addirittura Pascoli visse come un tradimento personale il matrimonio della sorella Ida nel 1895, proprio perchè tale evento rompeva l'unità del nido familiare finalmente ricostruito!

Le poesie di Pascoli, ad una lettura superficiale, appaiono come prevalentemente descrittive, come una descrizione dettagliata della vita di campagna in tutti i suoi riti; in realtà niente è più sbagliato che fermarsi a tale impressione, perchè per l'autore ogni oggetto, anche il più quotidiano e banale, è sempre il simbolo di qualcos'altro, in genere di una condizione esistenziale e soprattuttto di un ricordo che all'improvviso stimola l'ispirazione.

Per questo motivo Giovanni Pascoli è considerato uno dei principali esponenti del Decadentismo italiano, cioè di quella corrente artistica che considera la poesia come un potente mezzo di conoscenza della realtà: il poeta, con la sua sensibilità fuori dal comune, riesce a vedere al di là delle apparenze e a scoprire gli aspetti misteriosi e sconosciuti delle cose.

A questo proposito un esempio bellissimo è dato dalla lirica "X Agosto" (dalla raccolta Myricae), che è una descrizione simbolica della morte del padre, avvenuta proprio il 10 Agosto 1867, il giorno di San Lorenzo.

 

                                                                                          X agosto

 

San Lorenzo, io lo so perchè tanto

   di stelle per l'aria tranquilla

arde e cade, perchè sì gran pianto

nel concavo cielo sfavilla.

 

Ritornava una rondine al tetto:

    l'uccisero:cadde tra spini:

ella aveva nel becco un insetto:

   la cena deì suoi rondinini.

 

Ora è là, come in croce, che tende

   quel verme a quel cielo lontano:

e il suo nido è nell'ombra, che attende,

che pigola sempre più piano.

 

Anche un uomo tornava al suo nido:

  l'uccisero:disse: Perdono;

e restò negli aperti occhi un grido;

portava due bambole in dono......

 

Ora là, nella casa romita,

  lo aspettano, aspettano in vano:

egli immobile, attonito, addita

  le bambole al cielo lontano.

 

E tu, Cielo, dall'alto dei mondi

  sereni, infinito, immortale,

oh! d'un pianto di stelle lo inondi

  quest'atomo opaco del Male!

 

 

In questa stupenda poesia ogni elemento è il simbolo di una realtà diversa da quella naturale ed è in relazione con il fatto luttuoso della morte del padre; infatti la "rondine che ritorna al tetto" simboleggia il padre che torna dal lavoro per raggiungere il nido familiare,l'insetto che porta nel becco indica il fatto che il padre, Ruggero Pascoli, era l'unica fonte di sostentamento per la famiglia.

Nella seconda parte della lirica la metafora viene chiarita e il poeta immagina che il padre abbia chiesto perdono ai suoi assassini, non volendo affrontare la morte gravato dal peso del rancore.

Infine, negli ultimi versi, Pascoli introduce un simbolo più universale: egli immagina che il fenomeno delle stelle cadenti nella notte di San Lorenzo sia l'espressione della sofferenza della natura (o di Dio) provocata dalla cattiveria umana, quasi come se il Cielo piangesse osservando tutto il male che l'uomo compie quotidianamente.

E' opportuno aggiungere che per Pascoli l'ispirazione poetica non è un'emozione che tutti gli uomini possano provare, perchè per lui il poeta è una persona che è riuscita a far parlare "il fanciullino" che è in ognuno di noi; il segreto dell'ispirazione consiste nel recuperare la capacità (tipica dei bambini) di meravigliarsi di fronte allo spettacolo della natura e di provare gioia anche di fronte alle piccole cose della vita quotidiana.

Tali concetti sono stati espressi in uno scritto di circa venti capitoli, pubblicato parzialmente nel 1897 sulla rivista "Marzocco":in quest'opera (in prosa) Pascoli afferma che il vero artista è colui che sa guardare la realtà con candore ed ingenuità, come se osservasse il mondo per la prima volta.

 

 

 

 

 

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25 dicembre 2011 7 25 /12 /dicembre /2011 15:40

La poesia di Giuseppe Ungaretti, fin dall'inizio, è stata fortemente influenzata dalle vicende personali dell'autore e dagli eventi storici di un secolo spesso travagliato come il Novecento.

Il poeta nacque nel 1888 ad Alessandria d'Egitto e i genitori erano originari di Lucca: il soggiorno africano durò fino al 1912 e lasciò a Ungaretti moltissimi ricordi, tra cui quello della balia sudanese e della domestica croata.

Durante il periodo egiziano Ungaretti strinse molte amicizie, soprattutto con il compagno di scuola Mohammed Sceab e con Enrico Pea, che aveva fondato ad Alessandria un circolo anarchico chiamato "la Baracca rossa".

Nel 1912 Ungaretti ritorna in Europa e studia presso la prestigiosa università della Sorbona a Parigi e, quando nel 1914 scoppia la 1^ guerra mondiale, il poeta è tra i più accesi sostenitori dell'intervento italiano nel conflitto; tale posizione subirà un drammatico ripensamento quando Ungaretti toccherà con mano gli orrori della guerra e soprattutto si renderà conto che una simile carneficina non può essere giustificata in nessun modo, tanto meno con il nazionalismo della propaganda interventista (la restituzione all'Italia delle terre ancora austriache).

La prima raccolta di liriche si intitola "l'Allegria" e il comune denominatore che attraversa queste poesie è l'esperienza tragica del conflitto mondiale, con il suo triste corredo di morte e distruzione; tuttavia per Ungaretti la condivisione della sofferenza con i soldati che combattono porta le persone ad acquisire un profondo senso di solidarietà umana, ad assumere consapevolezza del fatto che la vita è un bene prezioso ed assolutamente fragile.

Tale consapevolezza è espressa nelle parole della poesia "Soldati", in cui Ungaretti paragona la condizione dell'uomo in guerra a quella delle foglie sugli alberi nella stagione autunnale (" Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie"), che possono cadere e morire al minimo soffio di vento.

In questo contesto è interessante analizzare la poesia "Natale", che risale appunto al Natale del 1916:il poeta è in congedo temporaneo per le festività natalizie ed avverte un forte senso di intimità familiare ma appare come intimorito dalla realtà esterna, che gli sembra ostile ed estranea.

Ecco il testo

                                                                                        Natale

 

Non ho voglia

di tuffarmi

in un gomitolo

di strade

 

Ho tanta

stanchezza

sulle spalle

 

Lasciatemi così

come una

cosa

posata

in un

angolo

e dimenticata

 

Qui

non si sente

altro

che il caldo buono

 

Sto

con le quattro

capriole

di fumo

del focolare

 

In questa poesia viene descritta tutta la condizione tipica dei reduci di guerra: dopo aver vissuto in prima persona le sofferenze del conflitto, il poeta sente il desiderio di ritornare nel "nido" familiare, simboleggiato dal calore del focolare; tutto ciò che è esterno all'intimità familiare è visto come ostile ed uscire è come tuffarsi in un labirinto ("gomitolo" di strade).

 

 

 

 

 

 

 

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25 dicembre 2011 7 25 /12 /dicembre /2011 00:00

Sandro Penna è stato un poeta appartenente,come Umberto Saba, a quella corrente artistica del Novecento che si opponeva all'Ermetismo:infatti tutta la sua poesia è caratterizzata da grande chiarezza, spiccata musicalità e frequente uso dell'enjambement.

La vita di Sandro Penna fu molto lineare e assai povera di avvenimenti esterni, egli visse quasi sempre a Roma e collaborò con molti giornali e riviste, come "Letteratura", "Il Frontespizio" e "Corrente".

Il poeta ebbe come amici altri letterati importanti quali Umberto Saba e Pier Paolo Pasolini, che spesso recensirono positivamente le sue opere.

Il primo grande ammiratore delle poesie di Penna fu Umberto Saba, che nel suo "Canzoniere" ricorda come il poeta gli avesse inviato alcune sue liriche firmate con il nome d'arte di Bruno Antonioni.

In effetti Saba è forse l'unico modello poetico che si può individuare con certezza nell'analisi delle poesie di Sandro Penna, anche se è veramente difficile comprendere fino a che punto Umberto Saba abbia influenzato Penna e se non sia per caso vero anche l'inverso; una differenza importante rispetto a Saba consiste nel fatto che le poesie di Penna non hanno un'evoluzione maracata nel tempo, ma al contrario hanno una struttura e uno stile che si mantiene uguale a se stesso fino alla fine con pochissime variazioni.

Se si dovesse paragonare la poesia di Penna ad una parabola, essa verrebbe rappresentata quasi da una linea retta, con pochissime oscillazioni:non a caso il critico letterario Mengaldo ha definito Penna un poeta "integralmente fuori dalla storia", prorpio perchè i temi e le immagini della sua lirica rimangono all'incirca gli stessi, senza per questo generare noia.

Uno dei temi particolarmente presenti nella poesia di Penna è quello dell'amore omosessuale, trattato con grande discrezione e tenerezza: ciò avvicina l'esperienza letteraria di Penna a quella più conosciuta di Pier Paolo Pasolini quando descrive la realtà dei "ragazzi di vita" delle borgate romane.

 Ecco un esempio della poesia di Sandro Penna

 

                                                                                                      Interno

 

Dal portiere non c'era nessuno.

C'era la luce sui poveri letti

disfatti. E sopra un tavolaccio

dormiva un ragazzaccio

bellissimo.

            Uscì dalle sue braccia

annuvolate, esitando, un gattino.

 

 

 In questa lirica si può notare cone tutto il discorso poetico sia costruito sulla descrizione di un interno visto come squallido e misero ( "la luce sui poveri letti disfatti"), che dà un'impressione di abbandono;tuttavia la luminosa e gioiosa (per il poeta) apparizione del ragazzo rende tale luogo allegro.

La presenza degli enjambement è molto fitta, infatti si trovano tra il verso 2 e il 3 ("letti disfatti"), tra il 4° e il 5° ("ragazzaccio bellissimo") e negli ultimi versi ("braccia annuvolate"), questo per creare nel lettore una senszione di attesa che lo spinge a gustare la poesia.

Da segnalare anche la presenza della rima baciata, un element fortemente controcorrente in un'epoca come il primo Novecento, quando la moda del verso libero (senza rime nè schemi metrici) era diventata un imperativo per poeti come Montale e Ungaretti.

 

 

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23 dicembre 2011 5 23 /12 /dicembre /2011 14:02

Gli animali nella poesia di Montale rappresentano una componente importante, sia perchè il poeta aveva un grande amore per la natura sia perchè essi spesso simboleggiano una condizione esistenziale, un ricordo oppure offrono un sollievo agli affanni e alle preoccupazioni della vita.

In particolare sono da ricordare le poesie dedicate all'Upupa ("Upupa, ilare uccello calunniato dai poeti...) e al Martin Pescatore, due uccelli a cui il poeta era molto legato.

La poesia "Il rondone" appartiene alla raccolta del "Diario del '71 e del '72", che contiene un insieme di liriche scritte nei primi anni Settanta del Novecento; come suggerisce il titolo si tratta di poesie caratterizzate da un linguaggio fluido e scorrevole, molto vicine al genere narrativo del diario, in cui Montale trae spunto dai fatti della vita quotidiana per esporre le proprie riflessioni.

Nella lirica "Il rondone" l'ispirazione prende avvio da un fatto apparentemente banale: un rondone viene trovato con le ali appesantite dal catrame e non riesce a volare, viene quindi soccorso e curato, ma dopo nemmeno un giorno, ormai autosufficiente, fugge via.

Ecco il testo:

 

                                                                                               Il rondone

 

Il rondone raccolto sul marciapiede

aveva le ali ingrommate di catrame,

non poteva volare.

Gina che lo curò sciolse quei grumi

con batuffoli d'olio e di profumi,

gli pettinò le penne, lo nascose

in un cestino appena sufficiente

a farlo respirare.

Luli la guardava quasi riconoscente

da un occhio solo. L'altro non si apriva.

Poi gradì mezza foglia di lattuga

e due chicchi di riso. Dormì a lungo.

Il giorno dopo all'alba riprese il volo

senza salutare.

Lo vide la cameriera al piano di sopra.

Che fretta aveva fu il commento. E dire

che l'abbiamo salvato dai gatti. Ma ora forse

potrà cavarsela.

 

Come si può notare il linguaggio è scorrevole e semplice, tuttavia è possibile notare la presenza di termini colti e di sapienti assonanze ("ali ingrommate", "batuffoli d'olio e di profumi"). Non si tratta, però, di una poesia puramente descrittiva. Il comportamento del rondone, prima riconoscente e poi ansioso di fuggire, rappresenta l'atteggiamento che, secondo Montale, molte persone hanno nei confronti di chi le aiuta: sono apparentemente riconoscenti, ma poi passato il pericolo si dimenticano di chi le ha soccorse.

Ne viene fuori quindi una descrizione piuttosto pessimistica del mondo animale ed umano: ognuno di noi deve lottare per sopravvivere e rischia di essere sempre sopraffatto, ma poi non è riconoscente quando riceve aiuto e dimentica che, nella giungla della vita, non può contare sempre e  solo sulle proprie forze.

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16 agosto 2011 2 16 /08 /agosto /2011 10:42

Dante Alighieri è sicuramente uno dei poeti che, nonostante la distanza temporale rispetto ai giorni nostri, suscita un fascino sempre nuovo e quindi può essere a buon diritto essere definito un "classico" della nostra letteratura; infatti secondo lo scrittore Umberto Eco un classico è un autore che, anche a distanza di secoli, non cessa mai di trasmettere un messaggio sempre nuovo ai posteri.

Una delle caratteristiche della poesia dell'Alighieri è d'altro canto lo sperimentalismo, cioè la tendenza a superare le mode culturali tipiche della cultura dell'inizio Trecento per tentare strade nuove:la sua opera è quindi nello stesso tempo antica e nuova, ma può essere ritenuta una specie di "summa" della cultura medievale.

La Divina Commedia ebbe una storia compositiva molto complessa e lunga, che si snoda all'incirca dal 1304 fino a giungere al 1321, quando venne ultimata l'ultima cantica, il Paradiso appunto.

Il tema del viaggio nell'oltretomba era stata comunque una costante nella letteratura medievale precedente, pervasa da un forte senso di religiosità: l'Alighieri porta alla massima espressione questa tradizione e riesce a costruire un poema ricco di significati simbolici.

Il viaggio immaginario di Dante nell'oltretomba inizierebbe il giovedì santo del 1300, anno del primo giubileo della storia della Chiesa e si concluderebbe una settimana dopo; l'Alighieri visita i tre regni dell'oltretomba (Inferno, Paradiso e Purgatorio) accompagnato da tre guide:

1)  Il poeta antico Virgilio, che è il simbolo della ragione e guida il poeta per tutto l'Inferno e nel Purgatorio:il compito di Virgilio è far sì che il poeta prenda coscienza della natura perversa del peccato, che non solo allontana da Dio ma fa anche perdere il senso della vita, come è testimoniato dal famoso smarrimento nella "selva oscura".

2) Beatrice, la donna amata da Dante e personaggio centrale della Vita Nuova,è il simbolo della teologia che conduce direttamente alla conoscenza di Dio:ella accompagna il poeta nel Paradiso fino all'Empireo.

3) San Bernardo, fondatore dle monachesimo cluniacense, che accompagna Dante fino alla contemplazione di Dio.

E' importante notare la presenza di un forte simbolismo numerico nella Divina commedia, relativo soprattutto al numero tre, considerato il simbolo della perfezione perchè direttamente connesso con la Trinità: il metro del poema è infatti la terzina (strofe di tre versi), i cieli del Paradiso sono nove (multiplo di tre) e tre sono le guide che accompagnano il poeta nel cammino verso la perfezione.

Dal punto di vista linguistico la Divina Commedia ha come base il dialetto fiorentino,che viene sfruttato in tutte le sue manifestazioni espressive, senza limitarsi soltanto ad un fiorentino colto:soprattutto nell'Inferno si usano termini popolareschi, gergali e coloriti, mentre nel Paradiso al contrario il linguaggio si alza molto di livello e compaiono i latinismi.

Una caratteristica dello stile dantesco è l'utilizzo di doppioni e di sinonimi, come manicare e manducare (mangiare), vorrei e vorria, speme e speranza:l'alternanza tra le varie forme è dovuta spesso ad esigenze di ritmo e di musicalità del verso.

La ricchezza della lingua della Commedia si può misurare partendo dal confronto con altre opere dello stesso periodo, molto più uniformi per stile e linguaggio; molti vocaboli danteschi sono entrati nell'uso comune, come le espressioni "fiero pasto", "far tremare le vene e i polsi", ecc.

Le conseguenze della scelta del fiorentino per la Commedia sono importanti, proprio perchè a partire da Dante il dialetto fiorentino diventa una specie di lingua letteraria, molto più nobile rispetto alle altre parlate italiane, proprio perchè l'Alighieri ne ha dimostrato la grande ricchezza espressiva usandolo senza limitazioni in quel capolavoro che è la Divina Commedia.

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30 luglio 2011 6 30 /07 /luglio /2011 11:51

La raccolta "Le occasioni" comprende le poesie scritte da Montale fra il 1928 e il 1939 ed il primo nucleo del libro è costituito dalla raccolta "La casa dei doganieri e altri versi", che uscì a Firenze nel 1932.

L'intero volume è diviso in quattro sezioni introdotte da una lirica intitolata "Il balcone", che fa parte della serie dei "Mottetti":si tratta di poesie di carattere descrittivo in cui è applicata la tecinica del "correlativo oggettivo" usata molto da Thomas Eliot (si veda l'articolo relativo ad Eliot).

Il tema principale di tutta la raccolta "Le occasioni" è la figura femminile vista spesso in senso quasi religioso, salvifico e molto vicino all'immagine della donna che avevano i poeti stilnovisti del Duecento: quasi tutte le poesie della raccolta sono in realtà delle dediche a diverse donne che hanno costituito dei punti di riferimento importanti nella vita di Montale, ad esempio Anna degli Uberti (conosciuta in Liguria a Monterosso) oppure Irma Brnadeis, un'ebrea americana studiosa di Dante e fuggita negli Stati Uniti dopo le leggi razziali emanate dal fascismo nel 1938.

La lirica di apertura delle Occasioni, qui antologizzata, è appunto una dedica ad Anna degli Uberti, morta piuttosto prematuramente (a 54 anni) nel 1959.

 

                                                                                       Il balcone

Pareva facile giuoco

mutare in nulla lo spazio

che m'era aperto, in un tedio

malcerto il certo tuo fuoco.

 

Ora a quel vuoto ho congiunto

ogni mio tardo motivo,

sull'arduo nulla si spunta

l'ansia di attenderti vivo.

 

La vita che dà barlumi

è quella che sola tu scorgi.

A lei ti sporgi da questa

finestra che non s'illumina.

 

L'espressione "mutare in nulla lo spazio che m'era aperto" sembra prefigurare la possibilità della rassegnazione di fronte alla ricerca di un senso da dare alla vita, ricerca che per il poeta appare molto travagliata e spesso non proficua:è evidente la contrapposizione con il Tu femminile, che invece sembra percorrere la vita sostenuta da certezze, come suggerisce l'espressione "il certo tuo fuoco".

Questa è in effetti una costante di tutta la poesia di Montale:la figura femminile viene vista

come portatrice di una verità che sfugge al poeta e quindi può rappresentare una luce, un'ancora di salvezza in una vita dominata da continue incertezze e difficoltà.

Anna degli Uberti è quindi l'unica che può scorgere la vita che dà "barlumi":questo termine indica quei momenti magici della vita in cui l'esistenza appare dotata di senso e di significato e non soltanto un insensato susseguirsi di giorni sempre uguali, dominati dalla noia e dalla fatica.

"La finestra che non s'illumina" dell'ultimo verso è la memoria del poeta, che ripercorre gli istanti vissuti con Anna ormai morta, ma in un certo senso molto più "viva" del poeta, proprio perchè inserita in una dimensione metafisica.

 

 

 

 

Thomas Eliot e il modernismo

 

 

 

 

 

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  • : In questo blog verrà presentata un'antologia delle poesie più significative della letteratura italiana e straniera, con notizie sulla vita degli autori e sulla loro concezione poetica ed esistenziale.
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